Il fascismo cova nella cenere: la libertà non si difende da sola

26.04.2025

scritto da Abel Gropius
IN EDITORIALE


La libertà è un bene fragile, che si difende ogni giorno. In tempi in cui si minimizzano i segnali d'allarme e si deridono i richiami alla storia, è dovere civile ricordare che il fascismo non torna all'improvviso: cresce in silenzio, nutrito dall'indifferenza e dalla paura. Questo editoriale vuole essere un invito alla vigilanza, alla memoria, alla resistenza morale, prima che sia troppo tardi. 


"Il fascismo non annuncia il suo ritorno: si insinua nel silenzio di chi dimentica."
Non è solo storia passata. È una possibilità che si rinnova ogni volta che abbassiamo la guardia. 


Di fronte a chi afferma, con apparente rassicurazione, che "se ci fosse davvero il fascismo, non potremmo nemmeno pubblicare libri come questo", è necessario rispondere con lucidità e fermezza: il fascismo non ritorna mai nello stesso modo. E soprattutto, il fascismo non ricompare come una frattura improvvisa: si prepara, lentamente, in silenzio, attraverso un'atmosfera che cova sotto la cenere.

È vero che oggi disponiamo di strumenti di espressione, di satira, di critica politica. È vero che esistono ancora elezioni libere, giornali indipendenti, voci dissenzienti. Ma sarebbe un grave errore considerare questi segni come prove definitive di immunità. La libertà non è un dato acquisito una volta per sempre; è una conquista fragile, che esige sorveglianza, impegno quotidiano, memoria viva.

Il fascismo non nasce necessariamente da un colpo di Stato. Nasce da un lento avvelenamento della cultura pubblica. Dalla normalizzazione del linguaggio d'odio, dal crescente disprezzo per le minoranze, dall'abitudine alla disumanizzazione dell'avversario politico. Nasce quando la paura viene utilizzata come strumento di governo. Quando si alimenta la nostalgia per presunti "tempi migliori", dimenticando che quei tempi furono segnati da violenza, repressione e privazione dei diritti fondamentali.

Oggi, mentre alcuni inneggiano apertamente alla "mano dura" e altri banalizzano la storia, riducendo il fascismo a una caricatura folkloristica o a un'epoca di "ordine", cresce il rischio più grave: l'assuefazione. L'idea che certi atteggiamenti, certi discorsi, certi comportamenti siano tutto sommato accettabili. È così che si pongono le radici di nuove forme di autoritarismo.

La censura, la repressione, la violenza istituzionale non si impongono di colpo: si costruiscono a partire dall'indifferenza, dalla rassegnazione, dal cinismo. Da ogni piccolo cedimento al principio che la libertà di espressione, di manifestazione, di opposizione, sia qualcosa di relativo e negoziabile.

Resistere, dunque, non è solo combattere apertamente contro un regime dittatoriale.
Resistere è prima di tutto saper leggere i segni del tempo. È custodire la memoria storica come strumento vivo, non come reliquia. È rifiutare ogni forma di odio come normalità. È difendere con coraggio e senza ambiguità ogni spazio di libertà, anche quando è scomodo, anche quando è impopolare.

Non esiste una linea definitiva che separa la democrazia dal totalitarismo: esiste un terreno mobile, in continua trasformazione, che possiamo proteggere solo con la vigilanza costante e con il coraggio civile.

Il fascismo, oggi, non domina. Ma può tornare.
Tornerà se dimenticheremo che la libertà non si difende da sola.
Tornerà se penseremo che sia impossibile.

Ed è proprio per questo che non possiamo — e non dobbiamo — abbassare la guardia.




Aveva ventiquattro anni. Viveva nell'est di Gaza City, sotto un cielo che da troppo tempo conosce soltanto il suono delle esplosioni e l'odore acre della polvere da sparo. Si chiamava Fatima Hassouna, ma chi la conosceva davvero la chiamava Fatem, con l'affetto che si riserva ai puri, a quelli che il dolore non riesce a corrompere.